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La tesi rivoluzionaria su Guernica: un quadro di soggetto autobiografico
La tesi rivoluzionaria su Guernica: un quadro di soggetto autobiografico

Sul quotidiano “la Verità” sabato 14 aprile 2018 è apparso un articolo a firma di A. Scianca sull’opera “Guernica” di Picasso, una mega tela di 8 x 3,5 metri.
L’opera, passata per essere l’emblema pacifista della cultura progressista nel mondo e sulla quale si sono spesi fiumi di retorica, non sarebbe altro che una
bufala. Secondo lo studioso José Maria Juarranz, autore del saggio “La obra maestra desconocida”, su cui ha lavorato per anni, la tela non sarebbe altro che un lavoro autobiografico, poiché l’autore, a cui l’umanità straziata dalle bombe non interessava affatto, lo avrebbe fatto in riferimento alla propria vita personale e prima dell’evento bellico (bombardamento di Guernica). Lo scrivente elenca una serie di personaggi (mogli, madri, amanti, toreri ecc.) presenti nel quadro e uniti in una sorta di relazione simbolica con lui. Anche il bombardamento su Guernica non rientrava negli obiettivi nazionalisti e nonostante l’esiguità dei morti ammazzati (2) la propaganda comunista sfruttò l’evento sul piano internazionale.

 

Il quadro che si intitolava “En muerte del torero Joselito” in omaggio alla memoria, nulla aveva a che  fare con la simbologia pacifista impegnata nella denuncia della guerra, eppure ebbe una risonanza internazionale fino ad essere oggetto di studio anche nelle scuole, vedasi “L’arte moderna 1770-1970” di G. C. Argan (Sansoni Editore, pag. 572). Come sia passata da opera introspettiva a icona del pacifismo mondiale, lo si deve al fatto che il governo repubblicano commissionò una tela dal contenuto politico. Picasso avendo un quadro già fatto non esitò minimamente a cambiare il nome con quello di “Guernica” intascandosi così 300.000 pesetas, parte delle quali provenienti dalla casse russe del Komintern, alla faccia dell’umanitarismo socialista.

 

Tutta l’esegesi critica che ne uscì, dopo che fu presentato all’esposizione universale di Parigi, non nasce da un’osservazione critica imparziale volta a cogliere i valori pittorici dell’opera, ammesso e non concesso che vi fossero, poiché questi vennero dati per scontati, in quanto si facevano garanti la figura di un artista affermato, ancorché briccone, e gli apparati di consenso mediatico. Pertanto il coro della critica fu unanime nell’esaltarne il significato civile e di conseguenza la qualità estetica, benché negli scritti non risultasse alcun giudizio di valore.

 

Nonostante l’apparato propagandistico e il forte coinvolgimento emotivo messo in atto, ci furono voci dissenzienti, ma queste furono emarginate e fatte tacere. In tal modo prevalsero i corifei del consenso encomiastico, facilitati nell’impresa dall’incomprensibilità dell’opera, satura di quella sgangheratezza astrusa tanto cara alla cultura radical-chic, quanto osannata dalla critica impegnata, che consenziente e ruffiana, aveva tralasciato il proprio compito critico. In uno stato di disordine fortemente sbilanciato in favore del politicamente impegnato, al testo si poteva far dir tutto e il suo contrario, forzandone ideologicamente il senso.

 

Osservando l’opera nella sola dimensione estetica, fuori dal contesto spazio-temporale in cui è cresciuta, bisogna precisare che il testo, cioè l’opera, si compone di contenuto e forma. Il contenuto è la narrazione, intesa come soggetto del dipinto, la forma , invece, è la rappresentazione del contenuto stesso mediante il disegno e il colore. Tutte le opere passate, presenti e da venire, tranne quelle astratte, si reggono sul binomio contenuto e forma, sia che si tratti di rappresentazioni religiose che civili, e la loro funzione si manifesta quando si rendono artisticamente fruibili a prescindere che il contenuto sia vero o falso e lo sono nella misura in cui vengono recepite dall’osservatore comune indipendentemente dall’ufficialità della critica specializzata.

 

Oggi dunque in relazione alle sensibilità attuali vi è l’urgenza di rivedere e riconsiderare eventi dell’arte contemporanea controversi o discutibili che, come in questo caso, lo studioso offre all’attenzione della critica. Ma per fare ciò bisogna avere gli strumenti che consentano un giudizio di merito, e questi sono costituiti da sempre di tre paramenti fondamentali: abilità di rappresentare il vero, capacità di interpretarne la forma, facoltà intuitiva di innovare il codice. Di questi tre l’unico presente in Guernica è l’ultimo, cioè quello che si affida alla facoltà intuitiva d’innovazione. Facoltà che non dipende dalla volontà fabbrile che pianifica e dispone, ma è  inconsapevole epifania che si mostra come forma dell’invenzione. Ed è in questa inconscia facoltà dell’intuizione che nasce l’immagine artistica, ma non è il caso di Guernica, dove non c’è epifanico inconscio, al contrario l’opera è dominata da una volontà luciferina che abolisce il bello con tutta la sua tradizione e da una ribellione distruttiva sulla quale padroneggia il genio orgoglioso e messaggero del nuovo come unica forma possibile della creatività.

 

Ma il nuovo in arte non può essere un atto della volontà, esso appartiene alla facoltà intuitiva della mente e si genera spontaneamente. La volontà che ingiunge è un errore che eleva la sgangheratezza ad arte e impone la spontaneità a norma di legge. Lasciando da parte la storia ingannevole dell’opera, che comunque non sarebbe dovuta sfuggire all’occhio attento del critico, essa rivela tutta la sua inconsistenza che è direttamente proporzionale alle sue mega dimensioni, come alla immensa bibliografia, alle lodi sperticate che risultano imbarazzanti se guardiamo all’analisi del testo totalmente assente e sostituita da un contenuto simbolico strettamente funzionale ad un’ideologia politica.

 

Pittore Francesco Giostrelli